La voce dei campi

Gioved� 16 Luglio 2009

La voce dei campi

Campaner sonna mezdì

Campaner, sonna mezdì. (campanaro suona mezzogiorno) Così si esprimeva, Fagiolino, mitica marionetta dei fratelli Ferrari ospiti dei vari teatrini della pedemontana parmense negli anni cinquanta, quando Sganapino, suo primo ministro, lo informava: “Sire, il popolo ha fame!”
Perché, Fagiolino, che rappresentava fedelmente i nostri usi sapeva che era inderogabile che a mezzogiorno ci si fermasse per riempire lo stomaco, per dare tregua e sollievo alla “budella maiuscola”.
Poche cose, per lo più zuppe, minestroni, un po’ di companatico, ma per la maggior parte a quietare la “budella maiuscola” era il pane e non sempre fresco o di eccelsa qualità, anche il companatico spesso e volentieri non era impareggiabile, i formaggi migliori erano destinati all’estero, fuori zona, a parte alcune sacre ricorrenze, ed anche i salumi, quelli che oggi portano un marchio, si riservavano per i parenti e per le sagre, come dire che quotidianamente oggi si mangiano prodotti migliori, e il ricordo della nonna tende a falsare la memoria.
Allora, si chiederà il lettore, da dove arrivano i pregiati piatti della ristorazione parmense?
Dalla fantasia, dalla capacità di coniugare le cose delle nostre rezdore che si potevano dedicare all’arte dei fornelli durante le vigilie delle feste raccomandate o da particolari eventi, dalle nobili famiglie o dalla cucina di corte.
Non si conosceva la pizza, gli spaghetti erano usati quasi mai, a farla da padrona era la foieda la pasta sfoglia, che ha reso famosa tutta l’Emilia, nelle sue variazioni, ho tagliata a strisce, strappata o ripiena, in versione fresca o secca, fatta in casa, raramente “pasta compra”, come veniva definita quella che si iniziava a comprare nel negozio.
Ma la mia marionetta preferita, per la sua furbizia, per il suo argomentare, per la sua sagacia e questi brevi accenni di storia, altro non sono che il pretesto per disquisire, per innescare un dibattito sull’inflazionarsi della cultura del cibo proposta in mille varianti, dalle accademie, congreghe, dalle grandi scuole e dal piccolo schermo con una frequenza superiore alle partite di calcio, eccoci allora tutti tecnici e commissari.
Poi se qualc’uno non conviene ci arrabbiamo, facciamo il broncio, “io ho la formazione giusta, non accetto più giudizi da nessuno” oppure, io ho codificato la cucina di ……. va diffusa su tutto il territorio, pubblicità, affarismo, e si perché poi noi ne parliamo, i giornali riportano “indignato rifiuta le guide” “X entra nelle guide”
Il cibo fa audience è esploso nella comunicazione, anche riviste non di settore non mancano di dedicare uno spazio a formaggi, salumi, piatti di A o di B.
Il cibo è diventato uno dei grandi fattori produttivi del nostro tempo, è un business, e per certi aspetti pericoloso, che guarda più all’economia, dove agiscono commistioni di capitali e forza lavoro piuttosto che contesti socioculturali e sana tradizione.
Da fatto materiale, legato ad un territorio, strappato alla terra in uno stabilito rapporto uomo natura, atavico primordiale desiderio naturale, rischia diventare tutt’altra cosa.
Il cibo si sta svuotando dei suoi aggettivi originali, forse anche del gusto, è percepito e viene venduto come un sogno, l’immaginario, l’oggetto del desiderio che rischia di contagiare e coinvolgere intere popolazioni. Potrebbe diventare come storia insegna fenomeno di massa, McDonald, con tutte le sue conseguenze.
Non si percorrerebbero più quei cenobitici sentieri che ti portano da Maria, all’unicità di un desco dove trovi l’arte del fare, carpita alle precedenti generazioni, all’attitudine di elaborare i prodotti di quel territorio, in grado di trasmettere di essere e di rappresentarsi, che fa di quel luogo un posto unico ed inconfondibile.
Li e li soltanto e solo a noi si manifesta in modo originale e socializzante l’unicità, il mistero contenuto in quel piatto e in quel bicchiere, e quello il fascino, il piacere che attrae che lega le genti, è quel prodotto su quel tavolo, non già il prodotto su tutti i tavoli.

Schianchi Mario

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