Sabato 27 Luglio 2024
Quante corone e quanti blasoni mettono e fanno indossare alla mia città; si da apparire più che essere, hanno nostalgia del Ducato e ne vorrebbero ostentare la Grandor, ma Maria Luigia rimane un ricordo, così come le cose belle che ha lasciato sul territorio e che spesso non sappiamo valorizzare come converrebbe.
Ma tutto questo non significa che a Parma manchino delle eccellenze, occorre solo naso e occhio, magari stando attenti a non farsi abbagliare dai riflettori, perché come spesso accade il turismo non giova alla qualità dell’enogastronomia in generale.
Poi se devo essere sincero già i residenti non indigeni e pure qualche indigeno maldisposto non gradiscono particolarmente i “profumi” che hanno portato questa valle al titolo di “valle del cibo”.
Amano ostentare il loro prosciutto di Parma, dicono di avere il re dei formaggi, ma detestano sentire il profumo che arriva dalla campagna.
Profumi indelebili nella mia mente di ragazzino degli anni cinquanta che fece conoscenza con le osterie iniziando da quella del mio piccolo, ma per me grande paese, Panocia.
Panocchia, ultimo lembo di terra, oggi del comune di Parma; “La Busa”.
La buca di nome e di fatto, famosa a quei tempi alle notabili famiglie della vicina città.
Era realmente un buco, dove finiva di tutto, i carrettieri e i notabili, compresa la qualità dei salumi e dei vini e di alcuni piatti tipici come la “Buseca”, poveri mangiari ma di indubbia maestria e abilità di che la metteva al fuoco per almeno tre giorni.
Il suo cortile era ed è tuttora più basso della strada di circa due metri, dalle finestre della sala si vedevano gli zoccoli ferrati dei cavalli, che lenti e cadenzati quasi seguissero uno spartito con il sole da poco nascosto, trainavano carro e carrettieri verso le stalle, lasciando nel cortile il loro olezzo che si mischiava ai profumi dei salumi grassi come usa a quel tempo e a quelle caraffe che marchiavano in modo indelebile i tavoli dei carrettieri, dove il gessetto bianco in contrasto segnava i punti dell’obbligata briscola che designava a chi toccava il conto che sovente anziché saldato finiva sul conto.
E da questi ancestrali amarcord, che nascono i miei fallibili indizi a chi ospita da noi, qui all’agriturismo Ciato, osterie, trattorie, che ancora sono fiere del vissuto e che anziché camuffarlo e arzigogolarlo lo ostentano nella sua autenticità.
Poi da non dimenticare, non c’è solo la cucina, Parmacityofgastronomy, c’è Parma, città raffinata ed elegante: i suoi monumenti, il marmo rosa del Battistero con tutti i mestieri e le stagioni nelle sculture dell’Antelami, poi tutto intorno l’appennino, i castelli, le vallate i paesini aggrappati con le loro osterie, dove ancora si mangia pecora e carpaccio nevicato di Parmigiano-Reggiano, carpaccio di vacche che bene conoscono la valle natia.