Domenica 18 Febbraio 2018
Tortorela e i lus
Chi segue la mia scalcinata e scacciata rubrica “Poveri Mangiari” avrà notato che il filo conduttore dell’ultimo periodo è il rispolvero.
Già, con lo scopino della mia resdora, cerco di togliere dal comò di casa tutti quegli oggetti moderni ed ultra moderni che sgomitano per trovare un posto anche in penombra. Tribolano, ancora non riescono, anche se si ritengono attori importanti della politica della, oggi, piccola polis. A colpire il mio sguardo, rimangono come nella memoria della maggioranza dei convalidati parmigiani, personaggi più del popolo che dell’aristocrazia o ostentatori di blasoni. Loro e solo loro sono la voce, il respiro, il verbo della Parma che va rispolverata, della Parma che va raccontata, di quella Parma che non va dimenticata. La Parma dei borghi, delle piazze, delle osterie, dei cuochi, dei commercianti e dei, direbbe qual c’uno, vagabondi, per me filosofi. E così sul grande comò sulle mensole, sul cantonale del mio agriturismo di Panocchia puoi sentire ancora il respiro, la voce di Enzo Sicuri, che amorevolmente i parmigiani chiamavano per il suo modo di vivere al mat Sicuri il matto, ma a cui tutta la citta, dal più grande al più piccolo era sentimentalmente legata, eccetto qualche raro disgraziato che è l’eccezione della regola; alla sua morte eresse a lui intitolato un monumento. Son veramente tanti i personaggi di quella Parma da spolverare che un maestrale non sarebbe sufficiente a spazzar via tutta la polvere. Cero; gelati d’estate pattona d’inverno, Cornén, onesto ma principe della ribalderia, Gisella Adorni, che senza conoscere nota nel 1893 debutto a 15 anni in teatro e per più di cinquanta apparì nel mondo, definita dal Toscanini Arturo “principessa delle comprimarie”. Ras’cén, al Coco, al Norge, Zelindo, Torén, impossibile rievocarli tutti. Oggi per legare il nostro piatto al racconto ci soffermeremo un po’ di più su Tortorela e Zlon a cui anonimo autore ha dedicato una suonata. Tortorela, gaudente pescatore delle rive assolate della Parma, con la sua immancabile zucca alla cintura, sicuramente avrebbe avuto più fortuna sulle onde del bel Danubio blu. Ma tant’è, lui era invaghito delle sue acque dolci, ora chete ora –voladori- impetuose, probabilmente non avrebbe apprezzato lo scorrere del Danubio. La storia o forse la leggenda dice che spesso Zlon che probabilmente in italiano fa Selloni, affamato facchino non disdegnasse gli inviti di Tortorela a consumar lucci, portando con se un fiaschetto di rosso, che a volte riusciva a procurarsi quando in Ghiaia scaricava le botti di vino. Difficilmente un parmigiano anche se ospite di onore e di riguardo, caso che non è certo del nostro Selloni, apre la porta dell’ospitante con nulla in mano. Pulite il luccio togliendo le interiora, lavatelo bene sotto acqua corrente e scolatelo. Fate bollire il pesce in una casseruola con un pochino di acqua un bicchiere di vino secco bianco, grani di pepe, sale una cipolla dorata di Parma e un gambo di sedano. Mentre il luccio va a cottura pulite un pochino di acciughe dal sale, diliscate e passate sotto l’acqua corrente, tritate capperi e prezzemolo a sufficienza o a piacere e amalgamate con olio. Questa è la salsina che insaporirà il vostro luccio. A cottura terminata, diliscatelo e sfilettatelo, disponendo la polpa in una pirofila. Conditelo con la salsa e lasciatelo riposare per qualche tempo in modo che i sapori si amalgamino. Selloni e Tortorela lo divoravano con tanta polenta abbrustolita sul fuoco del camino.