Gioved� 14 Dicembre 2017
Oggi mi va di tirarmi le ira di cucinieri infighettati, di quelli che davanti ad un pezzo di quinto quarto, ricco di sali minerali e vitamine non saprebbero da che parte prenderlo. Ieri ci siamo cucinati una così detta frattaglia bianca “la trippa” oggi con il sapere tratto dalla miseria delle vecchie “rezdore” cerchiamo di nobilitare una frattaglia rossa.
Primo segreto della frattaglia che forse sino ad oggi abbiamo omesso di dire è che deve essere di taglio fresco, rispetto ad altri tagli, sono più facilmente deperibili e più soggette a contaminazioni, quindi vanno conservate e trattate con la massima cura. Per verificarne la freschezza, assicuratevi che non emanino odori sgradevoli, abbiano un colore brillante e risultino umide ma non sanguinolente. In verità non ne avevamo mai accennato perché chi come me è di origine “Paisana” nell’idioma di chi legge “contadina”, ricorda quando la macellazione la facevi in azienda e per un certo aspetto eri più garantito, dall’animale di cui conoscevi vita ed anche morte e dall’esperienza tramandata da generazione a generazione. Bando alle ciance, che si fa tardi. Prendete una pentola di giusta proporzione aggiungete carota, sedano e cipolla, pepe in grani, un po' di sale grosso e immergete la lingua. Coprite la casseruola, portate a bollitura e poi lasciate cuocere a fuoco basso, il tempo di cottura e di un’ora per kg. Mentre la nostra lingua va, ci prepariamo due tipi di salsa, una vede ed una rossa. Prepareremo prima la verde perché la rossa è meglio se consumata tiepida per non dir calda. Nel bicchiere del mixer mettiamo foglie di prezzemolo colto dall’orto, spicchi d'aglio scamiciato, qualche filetto d'acciuga sotto sale pulito a dovere e abbondante olio extravergine d'oliva. Frullare dopo avere aggiunto un cubetto di giaccio, segreto per mantenere un bel verde vivo del prezzemolo. Ora se il tempo di cottura è passato vediamo di pelare per bene la nostra lingua e di ridurla a giuste fettine che divideremo su due vassoi di portata. Nel frigorifero dovremmo trovare ancora parte di concentrato usato per il sacrao, bene versiamolo in un padellino di acciaio, aggiungiamo in parti uguali sale e zucchero, olio e aceto di vino rosso di quello bell’aggressivo e sul fuoco portiamo a bollore. Qui la chiamiamo “dolcebrusca” Ora finiamo i piatti di portata, uno verde, uno rosso; iniziando dal rosso con un buon pane friabile, fresco di forno.