Venerd� 04 Marzo 2011
La chimica, la botanica, la biologia, la genetica, la meccanica, scienze che costituisco il fondamento del successo della nostra agricoltura, che negli anni, in qualche modo ha soddisfatto la domanda di una popolazione che nell’arco di quarant’anni, alle soglie del duemila, ha raggiunto i sei miliardi di individui. Potrà di pari passo seguire il crescere continuo della popolazione?, quando politiche non lungimiranti, per utilizzare un eufemismo, quando nelle aree più vocate del nostro Paese, della nostra provincia ettari ed ettari vengono destinati alla cementificazione, quando non siamo più in grado di capire quanti ne rimangono coltivi, quando di quel che rimane si pensa di destinarlo ad uso energetico?
Un Paese che sembra aver deciso di rinunciare alla ricchezza variegata della propria agricoltura; paradossale, inconcepibile e miope, anche perché non è detto, anzi e improbabile che le scienze di cui sopra celino ancora tanti segreti da poterci aiutare.
Rimane inconcepibile che non ci sia più un sostegno al settore primario che seppure frammentato e disorganizzato più per volere politico che dei produttori, solo colpevoli di avere delegato ad avvoltoi improvvidi, cupidi e poco lungimiranti, registra nel 2008, anno della crisi mondiale, un valore complessivo delle esportazioni agroalimentari italiane in aumento, pari a 25,8 miliardi di euro. Tutto ciò a conferma, che pur essendo la bilancia export import negativa, prodotti quali dop e igp godono ancora di buona reputazione.
Le nostre esportazioni, causa la frammentata offerta o la non conoscenza della nostra cultura sono assorbite da pochi paesi, primo tra tutti la Germania con un incidenza pari al 20%, seguita da Francia 11,5 che stranamente coincidono con i paesi che più ci hanno visto emigranti o che hanno contribuito maggiormente al nostro turismo.
Ovvia quindi la riflessione che prima del prodotto viene la cultura, ovvio che i vari assessori o onorevoli deputati agli argomenti non solo sarebbe indispensabile si conoscessero ma fossero capaci di un dialogo comune.
Stiamo giocando, giocando d’azzardo, ammazzare il settore primario vuol dire perdere saperi e conoscenze difficilmente recuperabili, vuol dire menefreghismo nei confronti di un ecosistema che sempre più spesso presenta il conto, vuol dire rischiare la dipendenza totale da terzi, vuol dire penalizzare il turismo, l’industria e tutto quell’indotto che sino ad oggi hanno mosso inconsapevolmente e senza ritorno economico capaci agricoltori.
L’indifferenza di chi amministra cade sull’intera collettività, l’indifferente provoca reazioni di cui spesso non conosciamo le conseguenze.