Ottobre -fra aia e cucina, cap. 10- storie e racconti di Schianchi Mario

Mercoled� 06 Ottobre 2010

Ottobre -fra aia e cucina, cap. 10- storie e racconti di Schianchi Mario

Ottobre Tempo di semina, sull'aia faceva ritorno al burater, con il suo cavallo bianco e uno strano carretto sul quale trovava posto il buratto, una strana macchina che serviva per la pulizia delle sementi. Era un personaggio già in via di estinzione, già le cattedre ambulanti dell'agricoltura, consigliavano ai contadini di utilizzare le sementi selezionate dall'industria che avrebbero dato migliori rese produttive e meno soggette a malattie fungine provenendo da terreni diversi.

Legata la bestia all'anello murato nel pilastro del porticato e una bella forcata di erba, il personaggio metteva in bolla lo strano strumento sotto il porticato, vicino al mucchio dei sacchi di granaglia da selezionare. Slegato il primo sacco di ortica e infilata la mano fra le cariossidi  "lè bel chest'an, mo al ghà un po' ed pora resdora" Era il suo modo per ordinare da bere, era un modo tipico della nostra pedemontana, il chiedere in metafora. A ghè un vernt ca' suga la gola, un'altra frase che mi ritorna alla mente, come quei profumi ottobrini che non ritorneranno più, ma che evocano spesso quegli arcani magici e misteriosi ricordi di vita vissuta sulla pedemontana, che ogni tanto riescono a toglierti dalla frenesia del quotidiano. Riappaiono come le stelle di quell'antico e meraviglioso cielo che ai nostri figli non è dato di conoscere, ma purtroppo come le stelle all'alba, quando il cielo verso la valle dell'Enza incomincia ad azzurrarsi, scompaiono troppo in fretta. Ed allora ti accontenti solo di poter rimembrare, raramente, quando incontri amici nostalgici come te, o quando senti la necessità di chiuderti fra le vecchie mura domestiche alla ricerca delle tue radici, o quando anche il sonno non c'è, e ti svegli prima che suoni la sveglia, pigli un attimo di tempo per guardare verso la pianura padana immersa nella nebbia, nello smog, quando terse mattinate ti permettono di scorgere al di sopra di esso, là, infondo, le prime catene alpine e la prima neve. Solo in questi momenti puoi gioire, assaporare, annusare, gustare un passato fatto di miseria materiale, ma di una ricchezza impalpabile oggi distrutta, di quella ricchezza che vedevi sui volti sorridenti e pudici della tua maestra, nelle rughe che segnavano il volto dei braccianti e nei profumi che già dal mattino salivano dalla tromba delle scale dalla porta della cucina. Profumi anche questi perduti. Mi par di sentirli e di riviver la scena, di quel minestrone che mai mi è piaciuto, mi limitavo a mangiare le cotiche ben scolate, direi quasi lavate dall'aceto e un pizzico di sale per insaporire. La pentola grande era sulla stufa economica nuova, nell'acqua già erano messi una giusta quantità di fagioli freschi, nello scolino del secchiaio tagliate a fette corte e sottili c'era la verza le coste a tocchetti assieme a sedano, carota, qualche pezzo di patata una cipolla Dorata di Parma intera, qualche tomaca uno zucchino e l'immancabile aglio. Ma per insaporire ancora di più, oltre ad aggiustare di sale e pepe si aggiungeva un battuto di grasso qualche fetta di cotenna di quella mezzena che si conservava sotto sale in una stanza fresca o in cantina dentro "la gabietà o moscarola" che dir si voglia. Contenitore costruito in legno le cui pareti erano di rete metallica a maglia fine per evitare che vi si introducessero mosche. Quando il tutto è quasi pronto si aggiungono, ma spesso era se denso servito così, maltagliati o riso. Oggi, avendo la fortuna di un orto, imitatemi, mangiatelo, ma assaporiamo solo gli ortaggi, per i grassi il dottore sconsiglia.

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