Domenica 08 Agosto 2010
Agosto
Era l'arrivo della trebbiatrice, la fase più saliente, più eccitante, centrale, quella che mobilitava tutta la corte.
Le ricordo bene quelle vecchie moderne macchine. Vecchie oggi, ultramoderne a quei tempi. Non era più la vecchia trebbiatrice trainata faticosamente da buoi e azionata dalle vecchie vaporiere, ma una macchina più grossa trainata direttamente da due trattori, uno per la trebbia e uno per l'imballatrice. Arrivava solitamente alle 10 quando nell'aia tutto era in fermento, i ragazzini già avevano incominciato a fare i primi fili di ferro per legare la paglia, le donne a rammendare gli ultimi sacchi di iuta e le resdore a far bollire capponi, manzo, lingue di bue e i tradizionali ragù. A mezzogiorno solitamente si era finito di impiaser (sistemare) la trebbiatrice e ci si apprestava al pranzo. A pranzo finito iniziava la vestizione, grandi capellacci di paglia ed ampio foulard al collo per ripararsi dalla polvere e dal sudore e a seconda delle mansioni poteva servire da mettere sul naso e bocca per ingoiare un po' meno polvere del trebbiatoio. Diverso l'abbigliamento per il paiarol (addetto al trasporto delle balle di paglia, ampio foulard si, ma al posto del cappello un sacco di iuta a mo di cappuccio sulla testa per ripararsi anche la schiena dalla paglia pungente. Intanto il capo macchina aveva messo in moto il trattore, guardato con attenzione che trattore trebbia e imballatrice fossero tutte ben in linea ed in bolla, ordinato a tutti di mettersi ai propri posti, iniziava a far girare al singion (enorme cinghia di trasmissione solitamente di cuoio che unendo il trattore alla trebbiatrice ne azionava il movimento dei vari ingranaggi e cinghie secondarie. L'aia era un gran palcoscenico di grida, suoni, colori e polvere densa ed odorosa di olio sbruciacchiato in cui magistralmente ogni personaggio si muoveva in sintonia, da chi faceva i capi ai fili di ferro a chi li portava all'uomo che determinava la densità e la lunghezza della balla di paglia, a chi da sul tavlas metteva in modo sapiente le spighe dentro al trebbiatoio, da chi vuotava i minon, recipiente in cui finiva il grano trebbiato che serviva anche come misura, dentro ai sacchi di iuta, a chi caricandoseli sulle spalla andava a stivarli nel granaio. Alla sera dopo una bella rinfrescata nell'acqua corrente del fosso per togliersi quel mezzo chilo di appiccicoso strato di polvere e unto, ci si sedeva tutti a tavola per un abbondante e variegata cena. Era festa, con quel filo di voce, che ancora ricordo con tanta nostalgia, si intonavano a più voci le vecchie canzoni e se qualcuno sapeva suonare la fisarmonica, mazurche, tanghi e valzer ridavano forza alle gambe. Quella era la pera dei nostri trebbiatori, dopo aver gustato un pollastro alla cacciatora. Di un pollastro ben pulito fatene regolari e sapienti pezzetti che andremo a mettere nella nostra teglia di ferro sporca di olio. Quando i pezzi saranno imbionditi aggiungeremo una noce o più di burro assieme a giusto quantitativo di pancetta o prosciutto a dadini. Appena il prosciutto accenna a soffriggere condire con garbo di sale, rosmarino, aglio e pepe, dopo circa un minuto irrorare con bianco secco. Consumato il vino bagnare la carne con una passata di pomodoro. Coprire e attendere la fine cottura.