Domenica 04 Aprile 2010
Storie racconti dell'agriturismo Ciato di Schianchi Mario
Aprile, ogni giorno un barile; cielo a pecorelle acqua a catinelle; se non piove d’aprile spera nel fienile; maggio ortolano, molta paglia poco grano. Quand el nuvli i van’travers ciapa el vachi è metia a quert, quand el nuvli i van in su tò na scranne setdget su, quand el nuvli i van in zo ciapa el vachi e metal zo; per chi non avvezzo al nostro idioma (quando le nubi vanno di traverso metti le mucche al coperto, quando le nubi vanno in giù prendi una seggiola e siediti sopra, quando le nubi vanno in giù prendi le mucche e mettici il giogo) Chi non ricorda i vecchi e saggi proverbi del tempo che fu? Forse i più. Più che non si creda. Difficile oggi rivivere quelle corse dal rezdor, che approfittando delle belle giornate ventilate di sole, correva a ritirare dall’aia i prosciutti appena lavati dopo l’ultima salagione, per metterli al riparo dalla pioggia imminente, mentre la chioccia chiamava a raccolta i pulcini sotto le proprie ali riparandosi sotto il fico. Una delle prime piante ad avere un fogliame consistente. Già, erano terminati i giorni della salagione, ora le cosce del maiale, una volta lavate, per togliere eventuali impurità e cristalli di sale, dovevano continuare a prosciugarsi dall’acqua residua nei tessuti muscolari aiutate dalla magica aria che scendeva dai colli incanalata nella Val Parma. Scene e momenti di vita mai immortalati dai telegiornali, ma indelebili nella nostra memoria e difficilmente tramandabili ai posteri, che però ben ricorderanno gli scempi della desertificazione delle montagne, delle alluvioni procurate dall’indifferenza o peggio dall’arroganza di chi non ha voluto ascoltare chi ha da sempre prestato grande attenzione alla morfologia del nostro Paese. Negli anni sessanta abbiamo assistito, specie sulla dorsale appenninica, ad un esodo biblico, rimangono solo poche comunità superstiti, impossibilitate alla salvaguardia del territorio. Li abbiamo illusi con le luci della città, erano montanari, taglialegna, proprietari coltivatori diretti, pastori, i primi e più collaudati custodi del territorio, di un sistema idrogeologico antico quanto loro, complesso e delicato. Ma al peggio non c’è stato limite, eravamo convinti che l’industrializzazione ci permettesse di calpestare ogni più saggia tradizione, che ci permettesse di eludere ogni legge naturale. Abbiamo tagliato monti e colli con nastri di asfalto interrompendo una miriade di canali e canalette, sostituiti non sempre da fossi laterali artificiali sovente lasciati a se stessi. Abbiamo asfaltato persino le carraie che portano al bosco, eliminando un ulteriore filtro drenaggio, permettendo così anche all’acqua di trovarsi in autostrada, senza essere in grado di controllarne la velocità. Per interessi più o meno leciti abbiamo depauperato le sponde dei fiumi e torrenti con vere e proprie rapine di ghiaia, con riempimenti che lasciano alquanto perplessi per il materiale usato. Spesso gli enti locali hanno dato facoltà di insediamento su tali riempimenti di industrie anche a rischio ambientale per allontanarle da altre aree con conseguente poi cementificazione in alcuni tratti dell’alveo, decretandone la morte biologica e togliendone quelle funzioni di drenaggio e rimpinguimento delle stesse falde acquifere, creando in diverse zone il problema della carenza di acqua in estate. E’ sufficiente percorre un qualsiasi torrente dalla sorgente alla foce per avere un idea più chiara e convincente. Se a monte, vuoi per l’esodo di massa vuoi per alcune assurde leggi di tutela ambientale, vedi gli alvei o disordinatamente scavati, od abbandonati a se stessi, dove trovi detriti delle piene precedenti. A valle, lungo gli abitati, sorgono orti, baracche, circoli ricreativi e discariche abusive. Un incultura una indifferenza, un arroganza nei confronti di Madre natura, che porta inevitabilmente ad un rapporto difficile, anzi catastrofico. Per fortuna che mia nonna non lo sa. Cosa potrà servire, per riportare i taglialegna sui monti? Oggi suggerire un antichissimo ed energetico piatto di probabile introduzione della cucina austriaca ai tempi del ducato di Parma, i Krinofel
Preparatevi 1kg. di burro, possibilmente di caseificio se ancora vi riesce di trovarlo, 3 uova, 170 gr. di semola, parmigiano, brodo di gallina ruspante, noce moscata e sale.
Stemperate il burro in zuppiera per molto tempo, aggiungete le uova, sale e noce moscata e adagio adagio la semola e il parmigiano grattugiato, in modo da ottenere una polentina soda. Con l’aiuto di un cucchiaio versate nel brodo bollente di gallina . Che ritornino i taglialegna sui monti io non ci credo, ma vi garantisco che questo piatto di energia ne ha tanta.