Mercoled� 05 Agosto 2009
Riflessioni di una domenica di mezza estate
In una recente intervista Carlin Petrini (slow-food) dichiara di essere arrivato al capolinea e lascia intravedere spazio per i successori, ma successori di cosa? E’ ancora percorribile il progetto Petrini o è arrivato al capolinea il progetto piuttosto che il personaggio?
Queste riflessioni sono di un semplice agricoltore delle terre di mezzo, che per sua natura non ha mai sposato gli estremi e prima di pronunciarsi in tema di agricoltura ha sempre cercato la verifica in campo.
Va pure sottolineato che pur contestando in tempi di gioventù la nascita del parco Boschi di Carrega e del Parco Fluviale del Taro in quei di Parma, per la loro concezione politica piuttosto che ambientale, ha sempre avuto un grande rispetto per Terra Madre, ma cercando di accudirla e farla campare il più a lungo possibile Lei e i suoi figli, piuttosto di immiserire le sue innate potenzialità. Posso vantarmi di essere stato uno dei pochi, se parliamo degli anni settanta, rappresentanti del modo agricolo ad avere un sereno e costruttivo confronto con gli ambientalisti, ma quelli veri, non quelli di moda o di dottrine pretestuose.
Al prof. Petrini va riconosciuto sicuramente, che partendo da un ideale giusto per certi aspetti, di strada né a fatta veramente tanta, a macinato sicuramente più denaro che cariossidi di grano, è stato un buon trascinatore ed un ottimo imprenditore, esaltando l’agricoltura dei poveri, ma lasciandola per lo più povera lei e i suoi addetti, eccetto alcune eccezioni di altrettanto furbi imprenditori occidentali, mentre noi di quell’agricoltura, per fortuna abbiamo solo un vago ricordo tramandato dai racconti dei nonni, noi dell’agricoltura demonizzata anche da un certo Olmi, “l’agricoltura intensiva”, stiamo cercando di salvaguardare e migliorare i valori produttivi, gustativi, salutistici e nutrizionali, in un contesto che ci permetta di rispettare le norme igieniche sanitarie attuali, la biodiversità ragionata e il rispetto ambientale, per dare non solo ai ricchi le prelibatezze dei poveri, ma per permettere a tutti di mangiare in modo dignitoso, senza l’eccesso delle sue scuole e dei ristoratori seguaci, proibite ai più, che trasformano in mousse, in soufflé o altre diavolerie, prodotti che già di se sono eccellenze e che in quei piatti difficilmente hai modo di riconoscere.
Di una cosa gli va dato sicuramente merito, di avere frenato un uso indiscriminato ed eccessivo della chimica degli anni passati, dovuta più alla non conoscenza e alla non cultura del tempo che ad una volontà contadina, ad esclusivo vantaggio di chi sull’ignoranza altrui ha fatto cassa.
E’ proprio sull’ignoranza, sull’inconsapevolezza, sull’ideologia e spesso anche sulla buona fede che altri giocano.
I parchi: da dove partono? il primo a Sala Baganza su una riserva di caccia del Ducato, mantenuta poi in essere dai conti Carrega, dove si esercitava anche attività agricola, prelievo periodico di legna e fornitore per tutto il circondario di pali di castagno per sostenere le viti e dove si esercitava una caccia controllata; oggi è vietata la caccia, l’attività agricola è in forte ridimensionamento e il parco è un incubatrice per cinghiali e caprioli, che spesso sono decimati da malattie dovute all’eccessiva popolazione che di conseguenza tende ad invadere le zone limitrofe con gravi problemi all’agricoltura e alla viabilità. Il parco Taro decantato per la sua fauna acquatica nasce anch’esso grazie ad una miriade di uccelli che si sono lì allocati in seguito alle estrazioni di ghiaia, quindi possiamo sicuramente affermare che se oggi vantiamo due parchi a ridosso della città lo dobbiamo all’attività dell’uomo.
Biologico o chimico: da anni collaboriamo e sperimentiamo con serie aziende che producono prodotti biologici, arrivo persino a dirvi che anche dal punto di vista medico sono un estimatore dell’uso di prodotti omeopatici, ma come dicono il mio medico ed alcuni produttori seri, quando c’è vo c’è vo! Mi piace anche ricordare che la mia agricoltura integrata, uso ragionato di agro farmaci e prodotti bio in base a modelli previsionali messi a punto da persone per bene scevre da ogni preconcetto mi ha permesso di non vivere più in condomino con i miei amici animali, mi ha in un certo modo evoluto, mangio un pane fresco e sicuramente molto più salubre e se posso spendere qualche cosa in più, ma sicuramente meno di alcuni seguaci di Petrini, il pane della nonna spesso vecchio e rinsecchito e a volte pieno di penicillum, se non mi faccio suggestionare dalla memoria del ricordo era più raro ma non più buono, così posso dire del prosciutto che portavamo a casa da Langhirano, era uno e doveva durare nella “moscarola” quasi tutta l’estate, ti sembrava buono perché lo mangiavi raramente, ma spesso il grasso diventava rancido e secca la parte magra, meglio sicuramente oggi, non solo quello che riesco ad appartarmi da suini maturi e stagionato nelle mie cantine trentasei mesi, ma anche quello che trovi normalmente al supermercato.
Caro Petrini io ho bisogno di produrre, altri di mangiare, molti muoiono ancora di fame, ed entrare al “salone del gusto” occorre una fortuna, una fortuna per incontrare produttori del terzo modo che invidiano la mia agricoltura e la mia tecnologia, che giustamente cercano ogni possibile strada per esportare come faccio io la loro mercanzia, per progredire, per comprarsi almeno un piccolo motocoltivatore.
Chi, nell’orto e propenso a farsi mangiare dalle terricole la verdura, chi è soddisfatto a vedere i pomodori seccare di peronospora, chi sopporta l’altica che in pochi giorni flagella spinaci ed erbette? Usiamo solo rame e piretro? ma non è proprio il piretro che non fa differenza e distrugge indistintamente tutti gli insetti utili e non, non è forse meglio un prodotto di sintesi studiato solo per eliminare l’altica in eccesso? Su un altro punto avete ragione, si può morire anche di mangiare con cibi avariati e contaminati, ma spesso sono più avariati i prodotti bio, la raccolta del grano lo dimostra, basta vedere le contaminazioni del DON nel grano della passata campagna sui campi non trattati a dovizia, e poi non era il prof. Bruce che diceva che alcune specie per autodifesa, per sopravvivenza quando attaccati da parassiti emettono più sostanze tossiche di quanto se ne possa dare con una giusta lotta integrata? Che dire delle affermazioni della Montalcini, non mi sembra un personaggio di media levatura, quando afferma che c’è superstizione e che la storia “e piena di venditori di paure”.
Altri studi dimostrano che diminuendo le superfici disponibili aumenta in percentuale la popolazione delle specie e che una dismissione del controllo dei parassiti provocherebbe un crollo delle produzioni di circa il quaranta per cento, secondo studi Nomisma. Di contro nel giro di trent’anni la richiesta di cibo è stimata in un cinquanta per cento in più.
Amici miei, qui siamo veramente ad una scelta strategica, di cui i nostri figli ci riterranno responsabili, responsabilità non imputabile ai nostri padri che con tutti i suoi errori hanno fatto si che se su un ettaro degli anni cinquanta ci si sfamava in due oggi un ettaro produce almeno per quattro.
Sul milione di ettari di biologico presenti in Italia varrebbe poi la pena fare una piccola riflessione, ma è una materia abbastanza complessa, forse anche questa più politico finanziaria clientelare che agricola, una cosa è certa, che anche da noi su progetti del cibo “sano”, “genuino” e di “altri tempi” e sulle memorie di soldi ne girano parecchi, con quali benefici agli agricoltori veri e ai consumatori non è dato sapersi, di certo si sa che sono risorse del settore primario.
Forse dopo alcune sbandate sarebbe opportuno spendere qualche soldino in più per fare della ricerca seria per un’agricoltura più ecocompatibile meno politicizzata e più responsabile, forse anche “Terra Madre” sarà più orgogliosa dei propri figli.
Una “Terra Madre” che già di suo ha previsto differenzazioni; incominciamo all’ora a conoscere nostra madre e riconoscere una certa retribuzione a quei figli che operano in certi areali piuttosto che a chi...
Questo ci piace suggerire, chi di dovere si faccia carico, di quei problemi che noi non abbiamo risolto, e che non hanno risolto nemmeno le nostre professionali, quelle professionali che non ricordano di essere nate proprio qui in Emilia come sindacato degli imprenditori agricoli. Non hanno più un confronto, non hanno più una dignità ne una libertà, l’ultima opportunità l’anno persa davanti al Presidente del consiglio che all’assemblea della Coldiretti ha dichiarato” avete il governo al vostro fianco…se sarà necessario interverremo noi…” come a dire a voi ci penso io.
Abbiamo così perso anche il confronto con la politica, quella politica un tempo targata DC/PCI, con la quale almeno un raffronto lo potevi avere, quella politica che almeno ti dava ascolto e sapeva farsi ascoltare.
Avere una Marcegalia forse sarebbe pretendere troppo, ma almeno un presidente capace di un sereno rapporto con il governo non mi sembra utopia, dal momento che rappresentiamo il settore primario; un governo, un ministro, assessori, che indirettamente e direttamente fanno dell’agroalimentare Italiano un blasone da mettere all’occhiello, dimenticando chi contribuisce in prima persona alla fusione di questo blasone.
Indipendentemente dalla preferenza accordata oggi sappiamo chi sarà il nostro rappresentante all’interno del consiglio provinciale, di una provincia che in materia di agricoltura ed agroalimentare ha un equivalenza pari a quella della Svizzera per gli orologi.
A lui ci rivolgiamo, a lui che non è agricoltore, ma l’espressione politica e solo partitica di una coalizione che continuerà a fare dell’agroalimentare un occasione di immagine e di partito, nella speranza che si accorga che la categoria rappresentata sta boccheggiando, sta impegnando, disperdendo le ultime forze in una pozza d’acqua al sole di agosto, come fanno i pesci negli ultimi ristagni del torrente Parma.
Queste non sono solo riflessioni di un ormai vecchio contadino della pedemontana parmense, ma il sunto di preoccupazioni che avvertono anche esponenti di alcune multinazionali che per esigenze lavorative frequentano non solo gli uffici dei palazzi cittadini, ma anche l’aia di casa nostra; anche loro avvertono la necessità di un ritorno alla giusta considerazione/remunerazione al settore primario vedendo scendere la loro quota commerciale nel nostro Paese. Parliamo logicamente di chi produce servizi, meno preoccupati gli acquirenti che pur sbandierando la territorialità si approvvigionano in ogni luogo.
Quale catena, quale rete, quale sistema ci domandiamo, se anche altre maglie avvertono il rischio?
Ma apertamente in pochi hanno il coraggio di alzare la voce, alcuni sono timorosi anche nel sussurrarlo, hanno paura del sistema, dell’intrigo politico associativo corporativo che si è venuto a creare e chi ci prova paga, esempio recente ne è la sostituzione del commissario AGEA Domenico Oriani che aveva cercato di smantellare la dittatura dei CAA rendendo il servizio più libero e alla portata del computer dell’agricoltore, complice anche la stampa che censura, che non ci da voce.
Mi diceva una gloriosa firma ex opinionista, sono passato al tecnico, sai mi manca un anno alla pensione, cosa posso faci se non avete più la forza di reagire neanche voi?
Ma la pentola è ormai in forte ebollizione, il movimento trasversale, minaccioso avanza in modo scomposto e ciò che dimenticò di dire il Carducci e che il pio bove alla fine scalcio pure lui.
E’ l’agricoltura mondiale in serio pericolo, nei paesi progrediti, nei paesi emergenti ed ancor più nel terzo mondo, forse abbiamo dimenticato non solo i sapori della nonna, ma che di agricoltura ci si nutre.
Mario Schianchi