Sabato 16 Ottobre 2010
Potrà mai risorgere la nostra agricoltura dalle sue ceneri?
Il latte al prezzo di trenta anni fa, la carne al di sotto del prezzo di produzione, i cereali ai prezzi degli anni novanta quando va bene, di 17 zuccherifici nazionali solo due rimangono in funzione, l'oro rosso si trasforma in modo nefasto in piombo, e l'uva, unica superstite, , nel contemporaneo allargarsi di nuovi impianti e di esportazione di milioni di barbatelle fa prevedere tempesta.
Diciamolo pure e senza timore che nessuno possa smentirci, l'agricoltura Italiana è in cenere, ma esistono i presupposti per cui dalla propria cenere possa risorgere?
La realtà non lascia grande spazio a rosee aspettative, anche perché quando si perdono le competenze e le maestranze non si acquisiscono in tempi brevi; dobbiamo guardare al passato per capire e non ripetere gli errori di chi ha portato alla cenere un settore strategico e vitale che negli anni sessanta-ottanta ha visto un radicale mutamento della nostra agricoltura, che si attestò a livelli, forse, inaspettati, che ha saputo conquistare stand tecnologici far i più evoluti, imponendosi a livello internazionale, trascinandosi a rimorchio tutto l'indotto. Possiamo anche affermare suscitando l’ira di molti, che le cause della caduta di questo impero rurale è colpa della politica, del sindacato, becero ed astratto, che non ha avuto una visione economica ma piuttosto opportunistica ed affaristica, non certo per noi agricoltori, anzi; ma molti di noi sono corresponsabili, ricordate i primi movimenti degli anni ottanta? ma ci pareva più comodo delegare, ignari delle conseguenze che le deleghe possono portare.
Come non hanno fatto i nostri rappresentanti in commissione UE a non accorgersi di come veniamo trattati dall'asse Francia Germania che ci impose di bere il suo latte a discapito di una nostra insufficiente produzione e ci lascia liberi di decidere a livello nazionale sugli OGM?; perché in alcuni settori regole per tutti e in altri la deregulation?
Chi ha vissuto l'eroica impresa dell'agricoltura anni sessanta lo sa che lo deve alla scienza, ad insigni ricercatori, ancor prima alle cattedre ambulanti, che sapevano cogliere le peculiarità di ogni zona; nasceva così l'agricoltura dei mille prodotti, quella che oggi cerchiamo ancora di ostentare, ma che oramai non esiste più. Un impegno che aveva saputo valorizzare anche l'agricoltura alpina ed appenninica, vanificata dalla colposa ed inarrestabile contrazione di ogni convenienza economica, ma che dovremmo tenere presente, come Svizzera insegna, per la razionale gestione ambientale di quelle aree.
Un periodo di crescita che si è arrestato, consegnando l'agricoltura ad un processo di involuzione che coinvolge tutti i settori e che pare non trovare un punto di arresto, di cui non si capisce né la cogenza né la capacità scientifica né la determinazione, anzi, una babele, una navigazione a vista senza un obbiettivo preciso e determinato.
Hanno contribuito a tutto questo, senza ombra di dubbio, i vari piani comunali, e provinciali, scoordinati e privi di qualsiasi base conoscitiva e scientifica del territorio e delle elementari conoscenze di un’eccessiva concentrazione, le norme dettate da regolamenti sanitari che altro non hanno fatto che peggiorare l'esistente, contribuendo, laddove non sta scomparendo, alla costruzione di allevamenti imponenti, che non si basano più su sani principi di filiera, ma che di contro hanno esponenzialmente acutizzato il problema di utilizzo agronomico dei liquami.
Ma, ha veramente tolto ogni prospettiva al settore primario: i contributi, i sussidi, la politica, coloro che pensavano di poter sovvertire le regole del mercato, coloro che hanno sacrificato le terre migliori a nastri di asfalto, coloro che senza cognizione di causa hanno permesso che qua e la sorgessero cattedrali di cemento; se rifaccio in treno il percorso che feci quando andai a militare al posto di distese di terre coltivate a destra trovo case e capannoni, a sinistra capannoni e case, costruiti senza tenere presente le condizioni ambientali, le più elementari leggi di scolo, tant'è che spesso la cronaca parla di alluvioni ad alcune centinaia di metri di altezza sul livello del mare. Capannoni spesso dismessi, ma che non permetteranno più che si possa mettere a terra un seme di grano. né tantomeno di riaccorpare un’unita sau -superfice agricola utilizzabile- decente.
Come potrà all'ora risorgere questa agricoltura dalle proprie ceneri.
Non certo con ulteriori incentivi privi di ogni logica economica come quella locale, questa non è l'America e certe distrazioni economiche anche se per certi aspetti strategiche a livello nazionale non ci sono consentite, non si risolvono i problemi incentivando coltivazioni per uso energetico, con produzioni che proprio per le caratteristiche organolettiche e pedoclimatiche non hanno riscontro a livello mondiale, per essere trasformate in energia, quando mancando l'incentivo diventano antieconomiche, non si risolve il problema istituzionalizzando parchi e parchetti, togliendo iniziativa imprenditoriale agli agricoltori, anzi si acuisce il problema perché queste mega centrali portano cemento su cemento sottraendo ulteriore sau e distruggendo quel poco di ambiente agronomicamente variegato che ci è rimasto e che il mondo ci invidia.
C'è un solo modo, che non è prettamente riservato al settore primario. Noi agricoltori per primi dobbiamo dire basta contributi di questo genere, non ci interessa che vengano mantenute in vita aziende decotte e stracotte in mano a pseudo agricoltori od agricoltrici per vantarci che anche nel settore primario abbiamo raggiunto la parità, vogliamo si dia spazio alle idee, alle iniziative, alle conoscenze e alle capacità, lasciateci in balia del mercato, ben venga il 2013.
Tanto si sa che una crisi al suo interno offre anche qualche chances, che non sono elargibili dai politici né dai sindacati come i contributi che hanno distribuito come fossero soldi loro.
Individuare l'opportunità è patrimonio genetico dei vari attori, lasciateci l'opportunità di provarci, lasciateci confrontare liberamente con il mercato ma sopratutto con le genti.