Mercoled� 25 Novembre 2009
Ciato, fra aia e cucina Storie, racconti, miti ed enogastronimia di un azienda della pedemontana.
Se dovessi dire perché ho scritto queste pagine mi risulterebbe difficile, se dovessi dire che le ho scritte per gratificarmi sarei un bugiardo, se dovessi dire che le ho scritte per me stesso avrei perso solo tempo, se dovessi dire che le ho scritte per voi non sarei del tutto sincero, se dicessi che le ho scritte per chi mi è compagna, per i miei avi ed a eterna memoria di un territorio al quale sono visceralmente legato…… sono sincero.
Panocchia, piccolo e grande paese, costruito su due grandi direttrici la Valparma e la Pedemontana, Ciato l’azienda alla quale ancora oggi appartengo, corte ad U che guarda al maniero del Pier Maria Rossi (Castello di Torrechiara) le cui mura portano la data delle cantine di Ciato. Panocchia fastosa nel dopoguerra con il suo cinema il primo dancing di provincia botteghe a non finire, maestri artigiani di ogni genere, forse irriconoscente nei confronti dei propri figli, alcuni diventati poi insigni maestri in arte e mestieri, paese del vivere dolce ed elegante a cui guardavano con invidia e ammirazione le frazioni circostanti, oggi con l’aggregazione al comune di Parma è estrema frazione poco più che dormitorio se non per qualche remota iniziativa di orgoglio di pochi.
Per quei pochi, per i nostalgici, per i nostri ospiti, per chi avrà tempo e voglia di assaporare in queste pagine il dolce scorrere delle ore, scandite negli anni 1950-1960 dal campanile della chiesa e dall’indimenticabile sirena posta lassù nell’ultima guglia, onde evitare discussioni fra braccianti ed affittuari, operai delle allora numerose fabbriche di conserva e della officina di bules del magnan, per chi vorrà rivivere, per farmi rivivere quei tempi, per non perdere il gusto delle stagioni, dei profumi, degli aromi e sapori della mia terra. Prima che tutto cancelli tutto, prima che anch’io abbia a dimenticare. Già, la sirena è smantellata, le campane suonano raramente, altri rumori le sovrastano, la gente chi è? Anonimi viandanti. Quel dolce profumo di suffritto è sparito, la fornacella non sbuffa più, i fiori nei campi …… le voci dell’alba? Riviviamole assieme almeno nella memoria! La storia potrebbe iniziare così
Si era di passaggio in quei di Parma sulla Pedemontana all'altezza di Panocchia; già il nome della località ci incuriosiva, ancor di più ci incuriosì uno strano cartello "Az. Agr. didattica", e nel cortile della stessa incontrammo il titolare che tra una fetta di salame e un bicchiere di bianco incominciò a raccontarsi.
L’azienda agricola Ciato è composta da due corpi principali; uno a sud di Panocchia, ed uno quasi attiguo a nord-est di Arola, per una superficie complessiva di circa 37 ha. Perché Ciato? Ciato è un’antica misura che risale ai tempi dei romani e con ogni probabilità qui già allora esisteva un insediamento. A conferma di ciò, durante il rifacimento di una pavimentazione ne sono state rinvenute altre di cui l’ultima ad una profondità di circa 70 cm. Poteva identificarsi come ciottolato romano, cosa possibilissima visto il recente ritrovamento di rovine dell’epoca in zona. Parte delle attuali mura e le cantine sotterranee datano 1400 e ne è testimonianza la cartina dello Smeraldi del 1500.Questa azienda, o meglio corte, era una delle otto esistenti in quel di Panoclo, poi Panocchia, condotta a mezzadria dai nobili Cantelli. Estimo di Nicolò III D’Este del 1415. Questo breve cenno storico per capire meglio la filosofia con cui si cerca di condurre questa azienda e perché è stata la prima in provincia a aderire al programma 2078, basso impatto ambientale, azione A1. Creare reddito non più nella massimizzazione, ma nell’ottimizzazione. Non abbiamo avuto grosse difficoltà, se non burocratiche, ad abbracciare questa filosofia, anche perché già prima dell’entrata in vigore di questo regolamento (anno 1992) il nostro intento era di avere un prodotto di elevate caratteristiche a costo contenuto. Ecco allora l’abbinamento di vecchie pratiche agrarie supportate da nuova tecnologia. Ampie rotazioni e monitoraggio continuo dell’ambiente e conseguente elaborazione dei dati. Quindi non solo coltivazione esasperata, ma agricoltura con A maiuscola, uguale a cultura, territorio, ambiente. Essendo agricoltore per libera scelta, e convinto che in campagna si possa vivere meglio, trovo oggi le mie aspirazioni condivise da una discreta parte della società che vive la città. Per i riflessi che questa aspirazione può avere in una logica di mercato, in presenza di una domanda, e quindi, della relativa offerta, importante è il ruolo che il settore primario riveste. Ad esso, infatti, fanno riferimento almeno due componenti secondarie, tra le tante che concorrono a definire questo concetto un po’ astratto di migliore qualità della vita. Una componente è l’alimentazione, oramai intesa come bisogno voluttuario più che primario. L’altra componente è la qualità dell’ambiente. Anch’essa deve fare riferimento all’agricoltore, perché questi è l’interlocutore autentico fra la società e il territorio. Parlare quindi di agricoltore guardiano del territorio, o più precisamente, di agricoltore produttore di ambiente non è fuori luogo, qualora si consideri che da parte della collettività c’è richiesta, e che questa esigenza rischia di rimanere insoddisfatta se non trova sul mercato una figura capace di farvi fronte. La logica del libero mercato è l’unica capace di garantire il soddisfacimento. Ma se per l’agricoltore manca l’incentivo a farlo, non vi è altra categoria che si possa sostituire ad esso per portare avanti in modo organico, e con pari competenza simile iniziativa. La produzione di ambiente e di prodotti tradizionali di elevate caratteristiche organolettiche da parte dell’agricoltore può esplicarsi in diverse modalità, che questa azienda in collaborazione con alcune delle istituzioni preposte sta’ valutando da alcuni anni e che oggi vuole rendere note al consumatore. Fatto cento il Paese non è esagerato affermare che l’Emilia-Romagna possa essere25. Regione delle diverse culture segnate dal territori, dai diversi climi, dalla storia, dalla sua economia originariamente prettamente agricola, per lo più povera considerata la tanta collina, la montagna. Economia agricola, si povera, ma dispensatrice di tante ricchezze, gastronomiche e paesaggistiche, disegnate nei secoli dalla caparbietà e genialità insita nei nostri contadini e da un enorme varietà di prodotti agricoli, di specialità culinarie, di tradizioni alimentari, di economia domestica e spirito creativo che per decenni ha coniugato mirabilmente povertà e gioia di vivere. La testimonianza di tanta fatica oggi rischia di essere consegnata al tempo che fu, assieme ai sapori, gusti ed emozioni di un passato troppo recente, cancellando inesorabilmente un patrimonio storico di fondamentale importanza. E’ proprio dal benessere, che sembra cancellare tutte le fatiche, le tradizioni, la storia dei nostri padri, che arriva una nuova concezione dell’alimentazione non già finalizzata al solo nutrimento dell’organismo, ma al soddisfacimento di olfatto e gusto. E’ in questa ottica che abbiamo focalizzato la nostra ricerca, atta soprattutto a riportare in tavola antichi sapori, ma ancor più riscoprire e tramandare alle nuove generazioni una cultura contadina e un rapporto uomo natura che rischia di essere perso per sempre.
Quanta tipicità nelle nostre più remote contrade appenniniche?! Parte è ancora attuale, parte ormai dimenticata ma ancora recuperabile. Una tipicità che giustamente gestita può dare grande soddisfazione. Potevamo in questa ottica, non fare riferimento all’antico allevamento del maiale allo stato brado fonte di tante tradizioni e soddisfazioni economiche della nostra zona, essendo noi della Val Parma? Sottacere che il benessere della nostra zona è legato in modo inscindibile a questo umile animale e al pomodoro ed ai cereali. Bastino alcuni nomi delle località più note per rivivere
e già pregustare scene e sapori; Langhirano, Felino, Panocchia.
L’ubicazione della azienda si inserisce perfettamente nel contesto storico paesaggistico inerente l’iniziativa essendo essa collocata nella zona pedecollinare della Val Parma.
Incastrata fra l'appennino e la pedemontana, racchiude una miriade di paesaggi, prodotti e di arte culinaria da permettergli a pieno titolo di definirsi food valley.
Una vallata ineguagliabile, forgiata dalla natura, e addomesticata dall'uomo. Un grande parco, dove al suo interno ben convivono, paesaggi rurali affiancati da scenari di grande prestigio agroalimentare, dove carraie, boschi, fossati e opifici ben testimoniano l'opera geniale dei nostri valligiani, che hanno dato cuore ed anima a questa terra, che si lascia "assaggiare" suscitando quel senso di infinito che ben si coniuga con i suoi sapori.
E' dalle radici della sua terra, dai suoi agricoltori che per anni hanno coltivato in modo quasi furtivo queste tradizioni che è nato il percorso enogastronomico della Valparma.
E' proprio in questa fattoria che si possono gustare i sapori dimenticati (il vero prosciutto di Parma, i vini, le conserve, il parmigiano, le erbe aromatiche, i fiori, …)
L'obbiettivo è quello di far riscoprire al cittadino, ma ancor più alle nuove generazioni che hanno dimenticato le loro radici, la cultura e la storia dei loro avi, le tradizioni di una valle che vuole salvare il proprio ambiente e la sua tipicità.
Salendo dalla città al monte, costeggiando quel torrentello, ora quasi avaro di acque, ora impetuoso, scorgi immense distese di pomodori, poi ordinati filari di viti che pazienti aspettano il sole dell'estate per donare prodotti sublimi.
E' qui che trionfa, umile e silenzioso il lavoro del contadino inserendosi in una tavolozza dai mille colori, suggestivi ed accattivanti.
Dove alcuni uomini conservano un amore viscerale per la propria terra, la propria comunità, le proprie tradizioni culturali, dove avranno modo di dar vita ad un nuovo turismo, sia per chi lo fruisce, sia per chi lo gestisce.
Percorso enogastronomico significa tante cose, tante proposte.
Quello che contraddistingue questa azienda, è la passione e la tenacia con cui i titolari si sono "impadroniti" delle ricchezze ambientali e culturali della vallata, la loro capacità di trasmettere questa passione agli ospiti sia italiani, sia stranieri, ma soprattutto alle scuole.
Per dirla in due parole come usa oggi "dalla terra alla tavola".
Da quel sovrano anolino nato probabilmente nell'urbe, forse da un cuoco amante di Venere che ne volle riprodurre l'ombelico, a quel favoloso tortello di ricotta e ortiche, nato probabilmente dalla grande fantasia e povertà di mezzi e di cose di una pastora, che già respirava, filtrata da suggestivi uliveti, faggeti e pinete l'aria della Valmagra e del Taverone.
L’azienda agricola, che presenta una classica facciata di azienda Emiliana conserva a tutt’oggi un caratteristico e funzionale forno a legna per la panificazione, usato in particolari ricorrenze, sotto il quale pur avendo perso le originali funzioni è ubicato il porcile per l’ingrassamento del maiale che sfruttava così il tepore emesso dal forno. Caratteristica difficilmente riscontrabile nel resto delle aziende del territorio. Sono ad essa annesse cantine sotterranee la cui temperatura ed umidità rimane pressoché costante nei 365gg., e quant’altro inerente la tradizione della macellazione del maiale. Alcune parti risalgono alla fine del quattrocento, (Architetto Bravin Piero; Portogruaro VE) in buono stato di conservazione. Ad una più attenta analisi dei sotterranei, oltre alle classiche bocche di lupo per il ricambio di aria sono ben visibili le bocche dalle quali durante la svinatura, operazione successiva alla pigiatura che era effettuata in altro locale, servivano per riempire le enormi botti sottostanti di cui esistono a tutt’oggi due piccoli esemplari. L’ubicazione fisica è tra le più affascinanti e storiche che Parma possa presentare, basti pensare che si trova ai piedi del maniero del Piermaria Rossi (castello di Torrechiara) eretto dal medesimo nel 1448 definito dallo stesso “altiero et felice”.
Fu innalzato elegantissimo e quanto mai turrito, sui ruderi di un vecchio fortilizio a probabile difesa della vallata quali quello di Guardasone e quelli di Quattrocastella, tutti in linea ed ancora ben visibili dallo stesso castello nelle limpide giornate di cui tale zona non è certamente avara. La presenza di tale castello al quale altro non vogliamo dedicare, essendo noto a tutta Europa, non può sminuire la presenza di altre innumerevoli realtà sia storico artistiche sia storico culturali. Basti citare Panocchia, con le sue storiche strutture già tutelate con decreti ministeriali ai sensi della legge 1 giugno 1939 in cui soggiornò Margherita Farnese e la nipote Elisabetta, futura regina di Spagna. Torrechiara, con la sua Badia benedettina, la chiesa di San Lorenzo, l’oratorio di San Rocco, tutte opere antecedenti il 1500. Procedendo ci si avvia verso Langhirano capitale del prosciutto ormai sommersa da opifici per la lavorazione di si prelibato prodotto, ma non certo priva di opere meritevoli di essere ammirate. Dal cortile dell’azienda rivolto a sud, con un po’ di fantasia possiamo inoltrarci fra colline sempre più marcate e dove l’aria si fa più ricca di profumi e aromi provenienti dalla Val Magra e filtrata dagli uliveti, dalle pinete e castagneti dell’appennino, che verso sera per uno strano gioco di correnti, quando la brezza scende verso valle arriva a rallegrare ed a rinfrescare l’azienda, nel cui cortile anche nelle serate più torride per il resto del territorio spesso richiede un adeguato abbigliamento. Dal centro aziendale di cui troviamo traccia nella cartina dello Smeraldi e ben visibile Villa Rognoni “la Mamiana” in cui l’agronomo Carlo Rognoni sperimentò e divulgò sia la coltivazione industriale sia la trasformazione del pomodoro. (La famosa Panocina o ladino di Panocchia), coltivata a quei tempi e sino a un recente passato con il sostentamento di pali di legno e fili di ferro. La rocca (castello di Panocchia), Villa Pretorio, già sede prefettizia con giurisdizione sui paesi limitrofi; Corte Cantelli, chiesa di San Donnino in cui a tutt’oggi sono conservati alcuni capolavori del locale pittore Stanislao Campana (1694-1784).
Ai nostri ospiti, operando l’azienda con alcuni dei più importanti gruppi sementieri a livello mondiale ed essendo anche momento di incontro per tecnici del settore vuole portare a conoscenza di chi interessato, un nuovo modo di fare agricoltura, abbinando nuove tecnologie ad antiche tradizioni.
Imparare a conoscere le Infestanti più comuni che possono benissimo se conosciute diventare ingredienti per ottimi piatti. Imparare a distinguere il farro, antesignano degli attuali cereali dal grano tenero e duro. Conoscerne i vari derivati macinando assieme, distinguere le diverse varietà di pomodoro, analizzando la pianta e il frutto. Imparare a conoscere gli insetti utili da quelli dannosi. Riscoprire quali gusti e sapori, erano abituali per i nostri genitori, capire come e perché è nato il salame di Felino. Si organizzano corsi, incontri con esperti, visite guidate sulla vita aziendale, volti alla riscoperta di antichi valori contadini. Chi si racconta è un improvvido agricoltore delle terre di mezzo, di quelli che contano solo per se stessi. Di quelli che cercano di svolgere il loro lavoro con dignità ed onestà. Di quelli che hanno cercato anche di portare il proprio contributo, e ogni tanto di parlare delle proprie cose; ma non avevano la benché minima speranza che qualcuno più in alto ascoltasse.
Dal momento che questa evenienza era sempre più improbabile, alla fine la maggioranza tacque, lasciando spazio alla minoranza, ai professionisti della comunicazione, ai professionisti che oggi rifiutiamo. Alla fine anche i grandi hanno capito, che l'agricoltore non è solo un mezzo per produrre sempre e comunque maggiori derrate alimentari. Agricoltura è, territorio, ambiente, storia, cultura e salute. Dopo diverse diatribe, scontri poco edificanti, i grandi hanno capito, ed oggi finalmente si può parlare in modo serio di agricoltura. Addirittura andiamo a "scuola in fattoria" l'agricolo fa "lezioni di cibo". Ma quanto durerà? Già si sta esasperando dall’altro versante. Ieri tutti demoni, oggi tutti santi, ma gli uomini?
P.S. a distanza di quasi un ventennio qualcosa andrebbe sicuramente rivisto, ma preferiamo non apportare correzioni al testo originale lasciando la possibilità ai nostri amici di consultare eventualmente “la voce dei campi”. Una sola considerazione; in quel periodo l’attuale crisi non era prevedibile, si ipotizzava almeno da parte nostra, se volete con un briciolo di utopia, ad uno stile di vita soddisfacente per tutte le categorie, così non è stato. Abbiamo sicuramente perso, i racconti a venire potrebbero, speriamo, riportarci a riflettere sulla moralità ed etica che era propria della maggioranza della gente della nostra vallata. Una vallata che ci ha dato tanto e in questo caso forse gli ingrati sono stati i suoi figli.